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lunedì 28 marzo 2016
Diabete, ecco il cerotto che rilascia cellule beta: potrebbe sostituire le iniezioni
Ricreato il dolore in provetta
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Harvard, dopo sei anni di ricerche è riuscito a trasformare cellule della cute umana in cellule nervose in grado di rispondere a stimoli dolorosi.
L’articolo che racconta di questo esperimento è stato pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista Nature Neuroscience, ed il risultato di questo lavoro è la possibilità di capire i meccanismi del dolore e a sviluppare nuovi farmaci che siano in grado di diminuire gli effetti del dolore sui pazienti.
giovedì 31 luglio 2014
Ebola, tutto quello che c’è da sapere sulla peggiore epidemia della storia
(immagine: Corbis Images)
È salito ormai a più di 1.200 infezioni e 672 vittime il bilancio di quella che è stata definita la peggior epidemia di Ebola della storia. Aumenta inoltre il numero di paesi africani raggiunti dal virus: dopo Sierra Leone, Guinea e Liberia, ora anche la Nigeria deve fare i conti con la malattia. Patrick Sawyer, un cittadino liberiano atterrato lo scorso 20 luglio nella città di Lagos mostrando i sintomi del contagio è infatti deceduto venerdì scorso, e ora si teme per la possibile diffusione del virus in quella che, con oltre 21 milioni di abitanti, è la più grande città africana. Ma perché ebola fa tanta paura? Il problema è che si tratta di una malattia estremamente letale e contagiosa, per cui mancano ancora terapie o vaccini efficaci.
I sintomi.
Ebola è un virus che causa una febbre emorragica. Inizialmente la malattia si presenta con sintomi comuni, come febbre, dolori muscolari, debolezza, mal di testa, mal di gola, vomito e diarrea. In pochi giorni però i pazienti peggiorano, mostrando forti sanguinamenti sia interni che esterni, che possono eventualmente portare al decesso. Nei primi giorni dell’infezione la malattia può quindi essere facilmente scambiata per una semplice sindrome influenzale, con il rischio che i pazienti ignari diffondano il virus nei loro spostamenti, aiutati dall’altissima contagiosità del virus. La malattia presenta inoltre un’elevata mortalità, che per alcuni ceppi può raggiungere anche il 90%.
domenica 27 luglio 2014
Google vuole diventare (anche) il tuo medico curante, ecco come

A quanto pare, Google ha deciso di darsi alla biologia molecolare, e come suo solito ha deciso di fare le cose in grande. Secondo il Wall Street Journal, l’azienda di Mountain View avrebbe avviato uno studio senza precedenti volto a fissare lo standard definitivo per la salute umana.
In parole povere: un team di ricerca raccoglierà (in modo anonimo) informazioni genetiche e molecolari da 175 pazienti con l’obiettivo di valutare quali esatti parametri debba rispettare un individuo per potersi considerare in perfetta salute.
L’iniziativa, sviluppata sotto il nome di Baseline Study, sarebbe stata affidata a un noto biologo molecolare di nome Andrew Conrad. Il team da lui guidato si occuperà di prelevare ogni genere di fluido corporeo (urina, sangue, saliva, lacrime etc.), e di eseguire sui soggetti esaminati ogni genere di test e analisi, il che significa che di ogni individuo verrà archiviato il genoma, la storia genetica dei famigliari, la sua storia clinica, nonché una serie di informazioni sulle sue abitudini di vita.
martedì 22 luglio 2014
Il paleo-dentifricio di 2000 anni fa

Il suo nome scientifico è Cyperus rotundus, ma chi lavora la terra la conosce come erba pepa, zigolo infestante, quadrella: è una pianta infestante difficile da debellare, tanto diffusa e fastidiosa da meritarsi il soprannome di "peggiore erbaccia del mondo".
Se non puoi estirparla... mangiala. Anziché combatterla, i nostri antenati la ingerivano, e a giudicare dallo stato dei loro denti si direbbe avessero ragione loro. Tracce del consumo di questa pianta sono state trovate nella placca dentale di una comunità agricola vissuta a Al Khiday, in Sudan, 2 mila anni fa.
Sempre nel piatto. Le analisi del materiale trovato tra i denti dei 20 scheletri fanno pensare che l'erba pepa fosse un elemento costante della loro dieta, benché a quell'epoca le tecniche agricole fossero già piuttosto avanzate, e quelle popolazioni avessero a disposizione cibi ben più allettanti. Il motivo della strana preferenza alimentare si evince forse dalle condizioni del "sorriso" dei resti esaminati.
Hiv, virus eliminato per la prima volta da una cellula umana
(foto: Getty Images)
Quello dell’Hiv è un virus tenace, si sa. Lo dimostra purtroppo il caso della bambina del Mississipi sottoposta a poche ore dalla nascita alla terapia con anti-retrovirali, che aveva acceso le speranze della comunità scientifica rimanendo per due anni funzionalmente libera dal virus, e che proprio di recente è invece tornata a mostrarne traccia nell’organismo. Dalla Temple University però arriva oggi una novità promettente. In uno studio pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences i ricercatori americani descrivono infatti il primo successo mai ottenuto nell’eradicare completamente il virus dell’Hiv da una cellula umana. Solo un primo passo è vero, ma fondamentale, verso una cura permanente dall’Aids.
La tecnica utilizzata dai ricercatori della Temple University sfrutta due strumenti: un frammento di Rna (chiamato gRna) capace di rintracciare il dna del virus all’interno del nucleo, e una combinazione di enzimi in grado di tagliarlo via, eliminandolo dalla cellula. Nel loro studio i ricercatori hanno utilizzato questo approccio terapeutico su diverse linee cellulari umane infettate dal virus (tra cui i linfociti T, principale bersaglio dell’Hiv), dimostrando che è in grado di eliminare definitivamente dalle cellule i 9.709 nucleotidi che formano i geni della malattia, e che i normali meccanismi di riparazione del dna permettono poi alle cellule di tornare a lavorare normalmente.
lunedì 21 luglio 2014
Il verme mutante che non si ubriaca: aiuterà a curare l'alcolismo

SI CHIAMA C. ELEGANS e nel 2002 ha vinto un Nobel per la medicina "insieme" agli scienziati Brenner, Horvitz e Sulston. C. elegans, però, è un verme. E per le sue caratteristiche è protagonista di numerose ricerche. Una delle ultime, condotta da Jon Pierce-Shinomura dell'Universita del Texas, lo ha trasformato in un verme mutante che non si intossica con l'alcol. La ricerca che ha portato a sviluppare il verme "anti-sbornia" potrebbe, secondo gli autori, aprire la strada a nuovi medicinali per l'alcolismo. L'invertebrato è stato creato inserendo un "alcol target" umano modificato al suo interno, una molecola delle cellule nervose che si lega con l'alcol. Gli scienziati hanno anche modificato un canale del potassio nelle membrane cellulari, rendendolo insensibile all'alcol e consentendogli di continuare con le sue funzioni normali nonostante i "drink".
domenica 20 luglio 2014
NOVARTIS E GOOGLE INSIEME PER LENTI A CONTATTO CON TECNOLOGIA "SMART"
L’ accordo è il primo passo in un percorso di evoluzione tecnologica avviato da Novartis per la gestione di diverse patologie.

Foto: Google Inc
Google e Novartis insieme per lavorare su una lente a contatto intelligente che controlla i livelli di zucchero nel sangue e corregge la visione, l'ultimo di una serie di prodotti tecnologici destinati per controllare le funzioni del corpo.
Le lenti intelligenti, che Google ha presentato nel mese di gennaio, sono parte di un numero crescente di tecnologie e prodotti software indossabili utilizzati per monitorare la salute e fitness. Il mese scorso, Google ha debuttato la sua piattaforma Google Adatta a monitorare i parametri di salute, come il sonno e l'esercizio fisico, sui dispositivi che eseguono il suo sistema operativo mobile Android.
Le lenti intelligenti contengono un minuscolo sensore che trasmette i dati sul glucosio contenute nel liquido lacrimale con una altrettanto minuscola antenna.
Il monitoraggio dei livelli di glucosio attraverso le lenti potrebbe rivelarsi più facile e più completo rispetto alle tecniche attuali, che generalmente richiedono i diabetici a pungere le dita per le gocce di sangue.

Foto: Google Inc
Google e Novartis insieme per lavorare su una lente a contatto intelligente che controlla i livelli di zucchero nel sangue e corregge la visione, l'ultimo di una serie di prodotti tecnologici destinati per controllare le funzioni del corpo.
Le lenti intelligenti, che Google ha presentato nel mese di gennaio, sono parte di un numero crescente di tecnologie e prodotti software indossabili utilizzati per monitorare la salute e fitness. Il mese scorso, Google ha debuttato la sua piattaforma Google Adatta a monitorare i parametri di salute, come il sonno e l'esercizio fisico, sui dispositivi che eseguono il suo sistema operativo mobile Android.
Le lenti intelligenti contengono un minuscolo sensore che trasmette i dati sul glucosio contenute nel liquido lacrimale con una altrettanto minuscola antenna.
Il monitoraggio dei livelli di glucosio attraverso le lenti potrebbe rivelarsi più facile e più completo rispetto alle tecniche attuali, che generalmente richiedono i diabetici a pungere le dita per le gocce di sangue.
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domenica 3 novembre 2013
Ebook: The Guide to the Future of Medicine - B.Meskó
Il Dr. Bertalan Meskó é un "Medico Futurista", il suo lavoro consiste nel divulgare e promuovere tutte le nuove tecnologie oggi disponibili nel campo della Medicina e Sanità, assistendo medici, professionisti e studenti ad utilizzare queste nuove risorse tecnologiche in modo efficiente e sicuro, e contemporaneamente educando i nuovi "e-pazienti" su come anche loro possono contribuire attivamente in questo rapido processo di evoluzione medico-tecnologico.
mercoledì 6 febbraio 2013
Gli organi si stamperanno in laboratorio
Con una stampante 3D in Scozia sono riusciti a creare ammassi di cellule embrionali staminali umane. La tecnica potrebbe essere usata per produrre organi artificiali
È la nuova frontiera della stampa 3D, altro che pentole, pezzi di ricambio e oggettini artistici: gli scienziati della Herriot-Watt University di Edimburgo sono riusciti a stampare in laboratorio ammassi tridimensionali di cellule staminali embrionali umane, che dopo il processo sono rimaste vitali, capaci di riprodursi e formare cellule specializzate. Secondo gli autori della ricerca, pubblicata sulla rivista Biofabrication, questa tecnica potrebbe portare alla fabbricazione di tessuti bioingegnerizzati simili a quelli organici e, in futuro, di organi artificiali costruiti ad hoc per pazienti specifici.
La produzione di campioni di tessuto umano è una sfida che appassiona da tempo i ricercatori. I tentativi fatti finora prevedevano la costruzione di una sorta di impalcatura attorno a una coltura di cellule staminali, che venivano in questo modo forzate a crescere in una struttura rigida. Ma i risultati erano spesso approssimativi e imprecisi: la nuova tecnica permette invece di depositare, strato dopo strato, goccioline di staminali di diametro uniforme in modo più economico, più veloce e più semplice rispetto ai metodi precedenti.
È la nuova frontiera della stampa 3D, altro che pentole, pezzi di ricambio e oggettini artistici: gli scienziati della Herriot-Watt University di Edimburgo sono riusciti a stampare in laboratorio ammassi tridimensionali di cellule staminali embrionali umane, che dopo il processo sono rimaste vitali, capaci di riprodursi e formare cellule specializzate. Secondo gli autori della ricerca, pubblicata sulla rivista Biofabrication, questa tecnica potrebbe portare alla fabbricazione di tessuti bioingegnerizzati simili a quelli organici e, in futuro, di organi artificiali costruiti ad hoc per pazienti specifici.
La produzione di campioni di tessuto umano è una sfida che appassiona da tempo i ricercatori. I tentativi fatti finora prevedevano la costruzione di una sorta di impalcatura attorno a una coltura di cellule staminali, che venivano in questo modo forzate a crescere in una struttura rigida. Ma i risultati erano spesso approssimativi e imprecisi: la nuova tecnica permette invece di depositare, strato dopo strato, goccioline di staminali di diametro uniforme in modo più economico, più veloce e più semplice rispetto ai metodi precedenti.
giovedì 31 gennaio 2013
Impiantato 1° Pacemaker Cerebrale per curare l'Alzheimer
Nel tentativo di alleviare i sintomi di una malattia che ha ostinatamente resistito a qualsiasi trattamento medico, gli scienziati della Ohio State University Wexner Medical Center hanno iniziato uno studio per verificare se un dispositivo di stimolazione profonda del cervello - un "pacemaker cerebrale" può scongiurare i sintomi debilitanti della Malattia di Alzheimer. Il loro primo paziente, Kathy Sanford, ha ricevuto il 1° impianto lo scorso Ottobre, prima della chirurgia le era stato diagnosticato il morbo di Alzheimer in forma lieve, ma i suoi sintomi stavano progressivamente peggiorando.
Ma dopo cinque mesi di stimolazione continua del pacemaker cerebrale, la sua performance nei test cognitivi é notevolmente migliorata, anche se é ancora troppo presto per sapere se gli effetti durano nel tempo, ma i medici sono fiduciosi.
sabato 26 gennaio 2013
"LA CHEMIO PUÒ PEGGIORARE IL CANCRO": LO STUDIO CHOC DEGLI SCIENZIATI USA
Dopo decenni di utilizzo della chemioterapia per sconfiggere le cellule tumorali, uno studio del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle potrebbe segnare la svolta per sperimentare definitivamente cure alternative. Secondo quanto riportato sulla rivista Nature, la chemioterapia potrebbe stimolare nelle cellule sane attorno a quelle tumorali la secrezione di una proteina che renderebbe immune in tumore ai trattamenti medici.
giovedì 24 gennaio 2013
Verso la prima lente in provetta
Dopo la prima retina in provetta, tutto è pronto per coltivare in laboratorio la lente dell'occhio umano. Sono stati infatti isolati per la prima volta i tessuti embrionali dai quali si sviluppa la lente ed il risultato è pubblicato sulla rivista Stem Cell Traslational Medicine, si deve alla ricerca fatta in Australia dall'italiana Isabella Mengarelli, del gruppo dell'università di Monash a Melbourne, coordinato dall'italiano Tiziano Barberi.
''Non siamo i primi a dimostrare la derivazione del tessuto della lente dalle cellule staminali embrionali, ma siamo i primi ad avere isolato e purificato le cellule che danno origine alla lente'', ha detto Barberi.
Contrariamente alle cellule della retina, che si sviluppano direttamente dalle sistema nervoso centrale, quelle della lente hanno origine dalla parte anteriore della struttura dell'embrione nella quale il tessuto di rivestimenti forma degli ispessimenti, con strutture specializzate chiamate placodi, legate alla formazione degli organi di senso. Da uno di questi ispessimenti le cellule della lente cominciano a svilupparsi esattamente di fronte a quelle che andranno a formare la retina e, dopo essersi scambiate segnali, alla fine di questo processo di sviluppo le due strutture cominciano ad aderire fra loro.
mercoledì 16 gennaio 2013
La sonda da inghiottire
Dai ricercatori del Massachusetts General Hospital di Boston arriva una nuova tecnica endoscopica ad alto contenuto tecnologico, una sonda facile da inserire e capace di produrre una rappresentazione 3D dell'esofago così da facilitare la diagnosi di una grave condizione patologica nota come esofago di Barrett.
Un sistema non nuovo né originale, quello di usare micro e nano-macchine per le attività diagnostiche in endoscopia, e che nel caso della nuova sonda statunitense è stato specificatamente studiato per verificare la conformazione delle pareti dell'esofago e l'eventuale presenza di lesioni ai tessuti.
Economica e non invasiva, la "pillola" viene inghiottita dal paziente mentre è collegata a un computer tramite cavo ottico: durante la discesa, la sonda "fotografa" sezioni dell'esofago tramite luce infrarossa inviando i dati al computer.
Le informazioni vengono infine sfruttate per ricostruire una rappresentazione tridimensionale dell'esofago, una rappresentazione che il medico potrà studiare per verificare l'eventuale presenza di problemi più o meno gravi - esofago di Barrett e non solo.
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lunedì 7 gennaio 2013
Obesità: ecco la valvola per svuotare lo stomaco
Inseguire il sogno di poter mangiare tutto quello che si vuole senza
ingrassare rischia ormai di generare idee mostruose. Come quella,
arrivata dagli Stati Uniti, di svuotare lo stomaco
appena si è riempito. Svuotarlo per davvero, attraverso una cannula che
porta il cibo all'esterno, prima che venga assorbito, circa venti munuti
dopo il pasto. È il principio del nuovo sistema brevettato da tre
medici americani, presentato dalla rivista New Scientist e prodotto dall'azienda Aspire Bariatrics di Philadelphia.
Il sistema consente di aspirare e rimuovere circa il 30 per cento del cibo dallo stomaco (lasciando al corpo il resto delle calorie di cui necessita), grazie ad una pompa collegata con una valvola chirurgica installata sulla parete addominale esterna. Il tutto viene inserito nello stomaco con un intervento meno invasivo di quelli di chirurgia dell'obesità, come il bypass gastrico, non necessita di anestesia generale, e può essere fatto in ambulatorio nel giro di un paio d'ore. Quando si vuole procedere con l'aspirazione, il paziente apre la valvola posta sulla parete esterna dell'addome, grande quanto un gettone, la collega ad uno strumento piccolo e portatile contenuto in una borsetta, e procede con l'aspirazione, che regola lui stesso. Il processo che dura 5-10 minuti e deve essere fatto dopo ogni pasto, quindi almeno tre volte al giorno all'inizio. Qui il video che spiega tutta la procedura.
Il sistema consente di aspirare e rimuovere circa il 30 per cento del cibo dallo stomaco (lasciando al corpo il resto delle calorie di cui necessita), grazie ad una pompa collegata con una valvola chirurgica installata sulla parete addominale esterna. Il tutto viene inserito nello stomaco con un intervento meno invasivo di quelli di chirurgia dell'obesità, come il bypass gastrico, non necessita di anestesia generale, e può essere fatto in ambulatorio nel giro di un paio d'ore. Quando si vuole procedere con l'aspirazione, il paziente apre la valvola posta sulla parete esterna dell'addome, grande quanto un gettone, la collega ad uno strumento piccolo e portatile contenuto in una borsetta, e procede con l'aspirazione, che regola lui stesso. Il processo che dura 5-10 minuti e deve essere fatto dopo ogni pasto, quindi almeno tre volte al giorno all'inizio. Qui il video che spiega tutta la procedura.
lunedì 17 dicembre 2012
La pastiglia "digitale"
La FDA (Food and Drug Administration) ha approvato l'utilizzo della cosiddetta pillola digitale, un sensore che, una volta ingerito permette di monitorare e di comunicare al medico l'avvenuta ingestione di un farmaco e l'eventuale comparsa di reazioni avverse.
La azienda produttrice (Proteus Digital Health) afferma che il sensore, ideale per malattie quali la schizofrenia, la sclerosi multipla e altre malattie neurodegenerative, inizierà presto le procedure necessarie per essere approvata anche in Europa.
Riassumiamo il concetto base di questa procedura.
Il sensore (di piccole dimensioni, non assorbibile e non digeribile) può essere assunto separatamente o direttamente integrato in una pillola inerte. Una volta ingerito le informazioni vengono trasmesse usando come ponte una sorta di cerotto che rileva la presenza del sensore entro una certa distanza. Il cerotto contiene a sua volta dei microrilevatori in grado di misurare la frequenza cardiaca, la posizione del corpo (verticale o orizzontale) e l'attività; tutte queste informazioni vengono inviate al cellulare del paziente che grazie ad una specifica App vengono a loro volta inviate al personale interessato.
La azienda produttrice (Proteus Digital Health) afferma che il sensore, ideale per malattie quali la schizofrenia, la sclerosi multipla e altre malattie neurodegenerative, inizierà presto le procedure necessarie per essere approvata anche in Europa.
Riassumiamo il concetto base di questa procedura.
Il sensore (di piccole dimensioni, non assorbibile e non digeribile) può essere assunto separatamente o direttamente integrato in una pillola inerte. Una volta ingerito le informazioni vengono trasmesse usando come ponte una sorta di cerotto che rileva la presenza del sensore entro una certa distanza. Il cerotto contiene a sua volta dei microrilevatori in grado di misurare la frequenza cardiaca, la posizione del corpo (verticale o orizzontale) e l'attività; tutte queste informazioni vengono inviate al cellulare del paziente che grazie ad una specifica App vengono a loro volta inviate al personale interessato.
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venerdì 14 dicembre 2012
Epilessia infantile, un difetto di link
Scoperto il difetto epigenetico alla base dell’epilessia con deficit di apprendimento nei bambini malati di una forma genetica maligna legata al cromosoma X. A identificare il link funzionale nel complesso labirinto dei difetti molecolari associati a questa malattia, lo studio realizzato da un team di ricercatori dell’Istituto di genetica e biofisica ‘Adriano Buzzati Traverso’ del Consiglio nazionale delle ricerche (Igb-Cnr) di Napoli, finanziato dall’associazione francese ‘Jerome Lejeune’. La ricerca è stata pubblicata su American Journal of Human Genetics.
“L’epilessia associata all’instabilità da triplette del gene ARX, attivatore della trascrizione del Dna, è una rara ma devastante forma di epilessia maligna, che si manifesta nei primi mesi di vita dei bambini maschi”, afferma la responsabile del lavoro Maria Giuseppina Miano dell’Igb-Cnr. “Le alterazioni di ARX innescano alterazioni a carico del gene bersaglio KDM5C, la cui proteina, un regolatore epigenetico, svolge un ruolo fondamentale nello stabilire quali geni devono essere esclusivamente espressi per garantire un corretto sviluppo del cervello embrionale”.
giovedì 13 dicembre 2012
Vaccinarsi senza più paura della puntura
E' di poche settimane fa la notizia della acquisizione da parte del gigante farmaceutico Merck della licenza di Nanopatch®, un sistema senza ago per la somministrazione di vaccini.
Il sistema sviluppato da una biotech australiana, la Vaxxas, verrà usato per uno dei vaccini di nuova formulazione della Merck.
Volendo sollevare obiezioni di natura filosofica non è completamente vero che il sistema è senza puntura. Tuttavia, come sotto descritto, la dimensione microscopica della puntura e l'assenza della parte cava tipica di un ago spiega perchè sia assimilabile concettualmente ad un sistema ideale anche per il più pauroso dei soggetti da vaccinare.
Vediamo di cosa si tratta.
Il Nanopatch consiste di una superficie (più piccola della SIM di un telefonino) su cui sono fittamente raggruppati (> 20 mila/cm2) degli aghi lunghi 110 μm (0,1 mm) ricoperti di vaccino. Aghi non cavi quindi e di dimensioni così ridotte (ma sufficienti per penetrare il derma) da non essere percepibili .
(®Wiley-VCH Verlag)
(c-d) la barra dimensionale corrisponde a 50 e 10 µm, rispettivamente. Le mini protuberanze sono state spruzzate con un getto di azoto ad asciugatura rapida che permette di distribuire l'antigene in modo uniforme e stabile sulla superficie,
(e-f) e (g-h) mostra la superficie prima e il dopo il trattamento della cute. La porzione di rivestimento (antigene+adiuvante in rosso) è stata correttamente trasferita.
Il sistema sviluppato da una biotech australiana, la Vaxxas, verrà usato per uno dei vaccini di nuova formulazione della Merck.
Volendo sollevare obiezioni di natura filosofica non è completamente vero che il sistema è senza puntura. Tuttavia, come sotto descritto, la dimensione microscopica della puntura e l'assenza della parte cava tipica di un ago spiega perchè sia assimilabile concettualmente ad un sistema ideale anche per il più pauroso dei soggetti da vaccinare.
Vediamo di cosa si tratta.
Il Nanopatch consiste di una superficie (più piccola della SIM di un telefonino) su cui sono fittamente raggruppati (> 20 mila/cm2) degli aghi lunghi 110 μm (0,1 mm) ricoperti di vaccino. Aghi non cavi quindi e di dimensioni così ridotte (ma sufficienti per penetrare il derma) da non essere percepibili .
(®Wiley-VCH Verlag)
(c-d) la barra dimensionale corrisponde a 50 e 10 µm, rispettivamente. Le mini protuberanze sono state spruzzate con un getto di azoto ad asciugatura rapida che permette di distribuire l'antigene in modo uniforme e stabile sulla superficie,
(e-f) e (g-h) mostra la superficie prima e il dopo il trattamento della cute. La porzione di rivestimento (antigene+adiuvante in rosso) è stata correttamente trasferita.
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mercoledì 12 dicembre 2012
Nanoparticelle a caccia di proteine sulla superficie dei batteri
In uno studio multidisciplinare, è stata messa a punto una nuova tecnologia per la cattura e l’identificazione di proteine esposte sulla superficie delle cellule batteriche.
Le proteine esposte sulla superficie delle cellule batteriche sono le prime ad essere viste dal sistema immunitario. Inoltre giocano un ruolo chiave nel processo di infezione, nella virulenza ed in generale nella fisiologia batterica. Una loro accurata identificazione permette di accelerare lo sviluppo di nuovi antibiotici e di vaccini atti a contrastare le infezioni batteriche.
Questa procedura messa a punto nello studio appena pubblicato su PlosOne fa uso di nanoparticelle magnetiche derivatizzate capaci di stabilire legami covalenti con le proteine. Una volta che si adagiano sulla superifice di cellule intere, le nanoparticelle “catturano” covalentemente proteine adiacenti che vengono poi identificate mediante tecniche di spettrometria di massa. In un test comparativo, questa tecnica si è rivelata più efficiente ed accurata nell’identificare nuove proteine di superficie rispetto a procedure precedenti.
sabato 8 dicembre 2012
Un nuovo meccanismo che controlla le cellule staminali
Si chiama NoGoA, è la molecola che con i suoi segnali garantisce la stabilità della struttura sistema nervoso, impedendone però allo stesso tempo la plasticità, cioè la capacità del cervello di adattarsi e ripararsi in seguito a un danno (o la crescita di connessioni non funzionali, che possono disturbare funzioni già sviluppate). Oggi si scopre che gli stessi segnali limitano anche la produzione di nuovi neuroni da parte delle cellule staminali neurali del cervello adulto.
Lo svela una ricerca condotta nei laboratori del Nico - Neuroscience Institute Cavalieri-Ottolenghi - e pubblicata oggi sul prestigioso Journal of Neuroscience.
Figura 1 Panoramica esterna della struttura del NICO
La firma è di un gruppo di ricercatori del Nico e del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino, guidati da Annalisa Buffo, in collaborazione con i colleghi del Brain Research Institute di Zurigo (Università di Zurigo).
Lo svela una ricerca condotta nei laboratori del Nico - Neuroscience Institute Cavalieri-Ottolenghi - e pubblicata oggi sul prestigioso Journal of Neuroscience.
Figura 1 Panoramica esterna della struttura del NICO
La firma è di un gruppo di ricercatori del Nico e del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino, guidati da Annalisa Buffo, in collaborazione con i colleghi del Brain Research Institute di Zurigo (Università di Zurigo).
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