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sabato 23 febbraio 2013

TROVATA L'ACQUA DI MIGLIAIA DI OCEANI IN UN SISTEMA PLANETARIO IN FORMAZIONE

C’è tanta acqua attorno alla giovane stella DG Tau, e potrebbe essere pari a quella di centinaia o forse migliaia di oceani terrestri. A scoprire la sua presenza, sotto forma di vapore, nel disco composto da grani di polvere e gas che la circonda è stato un gruppo internazionale di ricercatori guidato da Linda Podio dell'Università di Grenoble e associata INAF, a cui partecipano Claudio Codella dell'INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri e Brunella Nisini dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma, sfruttando le osservazioni condotte dal telescopio spaziale Herschel dell’ESA.

Il video con l'intervento di Linda Podio, giovane ricercatrice italiana associata INAF che ha guidato la scoperta.


La stella DG Tau, situata in direzione della costellazione del Toro e distante da noi circa 450 anni luce, ha pochi milioni di anni ma tra alcuni miliardi di anni potrebbe diventare come il Sole e dal suo disco circumstellare si potrebbero formare pianeti, asteroidi e comete, in analogia al nostro Sistema solare. La ‘caccia all’acqua’ in questo ed altri sistemi simili diventa assai importante perché la presenza di questo composto può essere un indizio di condizioni favorevoli all’insorgenza della vita.

domenica 20 gennaio 2013

Ecco il “primo extraterrestre” caduto sulla Terra

In un meteorite caduto nello Sri Lanka il 29 dicembre 2012 sarebbero state trovate delle alghe fossilizzate. Le foto sono eccezionali. I ricercatori escludono la contaminazione. Inoltre vi sarebbero evidenze di strutture rotonde simili a strutture scoperte anni fa in India che sembravano provenire dallo spazio. Se la scoperta venisse confermata sarebbe davvero rivoluzionaria.

 
L'"extraterrestre" caduta dal cielo nello Sri Lanka

Per la prima volta sarebbe stato scoperto con certezza matematica la presenza di un extraterrestre in un meteorite caduto nello Sri Lanka. L’”extraterrestre” è un’alga, una diatomea.
A pubblicare sul Journal of Cosmology l’eccezionale scoperta sono tre ricercatori della University of Buckingham (UK) (N.C. Wickramasinghe), della Cardiff University (UK) (J. Wallis) e del Medical Research Institute, Colombo, Sri Lanka (D.H. Wallis).
Essi sostengono di aver scoperto delle “diatomee” fossilizzate in una “condrite carbonacea” caduta nel North Central Province of Sri Lanka il 29 dicembre 2012, vicino al villaggio di Araganwila.
Spieghiamo i due termini di questa frase che potrebbero essere difficili ai più. Le diatomee sono alghe composte da un’unica cellula comparse sulla Terra 135 milioni di anni fa (guarda le foto di come sono fatte, sono bellissime). Queste alghe unicellulari sono provviste di un astuccio siliceo formato da due valve o teche, di cui quello superiore è più grande e ricopre quello inferiore come il coperchio di una scatola. Esse immagazzinano le loro riserve nutritive sotto forma di goccioline di olio, le quali permettono loro di galleggiare liberamente, rimanendo così in prossimità della superficie dell’acqua, ben esposte alla luce del Sole.
Una meteorite carboniosa invece, è una meteorite che possiede una composizione molto simile ai planetesimi, ossia i corpi che miliardi di anni fa diedero forma ai pianeti del sistema solare. In molte meteorite di tal genere sono stati scoperti acqua e materiale organico, inclusi amminoacidi.
[Da Marte un meteorite pieno d'acqua]


Il luogo dell'impatto del meteorite (a sinistra) e il meteorite in questione.
 
Non è un meteorite contaminato
Fatte queste precisazioni,  torniamo alla notizia e al meteorite dello Sri Lanka. I ricercatori sono certi che il meteorite non è stato contaminato da rocce terrestri: è stato visto cadere dal cielo e raccolto subito dopo, ma, soprattutto, i fossili di diatomee sono ben incastonati nella matrice del meteorite.

martedì 15 gennaio 2013

Una piccola webcam puntata su Marte

                                

Una camera ordinaria in un posto straordinario: così la descrive l’ESA. In un mondo mediatico fatto di telecamere nascoste che spiano e ritrasmettono online una quotidianità spesso inutile, quasi sempre scontata, ce n’è una, di webcam, che merita tutta l’attenzione possibile. E’ lontana da noi centinaia di milioni di chilometri, ha una storia travagliata, e si chiama Visual Monitoring Camera, VMC o Mars Webcam per gli amici. E’ a bordo della sonda Mars Express, in orbita intorno a Marte dal 2003. Come una vera webcam, VMC spia il pianeta rosso, e da qualche tempo pubblica senza filtro e in tempo reale le immagini scattate, in un account Flickr aperto al pubblico.

Un montaggio delle immagini della Webcam di Mars Express scattate nel 2012. Copyright: ESA- VMC Mars Web cam – Elaborazione: Emily Lakdawalla, Planetary Society.

Le singole immagini che compongono il mosaico di oggi sono state realizzate da maggio a dicembre 2012, a intervalli di tempo non costanti, e processate per creare questo magnifico poster da Emily Lakdawalla, della Planetary Society.
Tutte le foto sono state scattate da una altitudine di circa 10 000 Km dal pianeta ma con un punto di vista che cambia nei mesi, in funzione dell’orbita della sonda Mars Express. Nella loro sequenza, si possono leggere i cambiamenti climatici che avvengono sul pianeta Marte al passare dei mesi. Nelle prime immagini, realizzate a Maggio, è inquadrata l’estate e il ghiaccio si è ritirato intorno al polo nord del pianeta. In quel momento, l’orbita della sonda viene modificata per supportare l’arrivo di Curiosity, inquadrando la zona dell’atterraggio. A fine settembre, la traiettoria seguita dalla sonda fa perdere di vista il polo nord e l’attenzione si focalizza, nelle immagini realizzate tra maggio e giungo, sulle impressionanti strutture di nubi che si iniziano ad avvistare.

lunedì 7 gennaio 2013

Scene dall’inverno marziano

 Una candida coperta di neve trapuntata di pini scuri, una distesa di dune rosate increspate dalla brina mattutina, la superficie ghiacciata di un lago dove sono visibili i primi segni di scongelamento. Potrebbero sembrare immagini scattate dall’alto di meravigliosi paesaggi invernali raccolti in vari punti del nostro sorprendente pianeta. Ma la verità è che le immagini che state guardando non vengono dal nostro pianeta. Protagonisti dei ritratti di oggi sono Marte e i cambiamenti sulla sua superficie causati dal passare delle stagioni, ripresi dall’alto dalla camera ad alta risoluzione della missione Mars Reconnaissance Orbiter.

                  Alcune immagini dell'inverno marziano scattate da MRO. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Proprio come sulla Terra, la causa primaria di questi paesaggi più o meno invernali è il cambiamento di temperatura dovuto all’avvicendarsi delle stagioni. All’arrivo dell’inverno, l’abbassamento della temperatura causa la precipitazione dell’anidride carbonica presente nell’atmosfera marziana, provocando vere e proprie nevicate di ghiaccio secco e altri fenomeni associabili agli inverni terrestri. Questi fenomeni sono stati recentemente osservati e descritti da un interessante articolo pubblicato nel Journal of Geophysical Research. Tuttavia, la spiegazione scientifica del fenomeno non rende meno stupefacenti i paesaggi raccolti in questo album e inviati recentemente dalla MRO, la missione NASA lanciata nel 2005 e tuttora in orbita intorno a Marte.

venerdì 4 gennaio 2013

Nasa: progetto di sonda spaziale alquanto peculiare

 Una sonda che, invece di procedere su ruote, si muove a salti sulla superficie brulla di Phobos: ci sta lavorando NASA in collaborazione con i ricercatori della Stanford University, con l'obiettivo di avviare - entro 10 anni di tempo - un'esplorazione approfondita della luna marziana e pianificare un possibile sbarco di astronauti umani.

La sonda ha una forma sferica contornata da punte, mentre all'interno tre volani organizzati in forma tridimensionale - e alimentati da pannelli solari - governano i movimenti della macchina. Su Phobos non c'è quasi atmosfera, e l'utilizzo di un rover di forma tradizionale sarebbe dunque da escludere.


 La sfero-sonda dovrebbe lavorare di concerto con un orbiter (Phobos Surveyor) per raccogliere informazioni sulla superficie del satellite, le radiazioni solari e tutto quanto, analizzando il suolo alla ricerca di giacimenti d'acqua e altre sostanza utili a sostenere una base umana.

lunedì 10 dicembre 2012

Il lungo addio della sonda Voyager

Era il 1977 quando le due sonde Voyager vennero spedite nello spazio per prima esplorare il sistema solare esterno e perdersi nello spazio poi. Chi come me in quell'anno aveva l'età per giocare con i sogni che tali missioni generavano, non poteva non associare il fine di tali missioni con l'incipit di Star Trek "… altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prima".
E noi bambini non eravamo i soli a sognare questa eventualità; all'interno delle sonde venne inserito il Voyager Golden Record, un disco contente suoni e immagini della Terra. Un mezzo forse primitivo ma che rappresentava un grosso passo tecnologico rispetto al messaggio contenuto nelle sonde Pioneer 10 e 11 con immagini stilizzate di un uomo e una donna.
Dove si trovano le sonde 35 anni dopo il loro lancio? Sono uscite dal sistema solare? In fondo noi ci accontenteremmo di distanze molto più modeste rispetto a quelle praticate dal capitano Kirk. Già avere raggiunto i mal definiti confini del sistema solare sarebbe un successo.
Un articolo pubblicato su Nature qualche tempo fa si è posto lo stesso interrogativo.

Ed Stone, uno degli scienziati di punta del progetto Voyager, analizza i dati per cercare di capire se Voyager 1 sia giunto nella zona di confine del Sistema Solare, una zona definita eliosfera, in cui la bolla di particelle cariche elettricamente soffiata verso l'esterno dal Sole, lascia il posto allo spazio interstellare. Identificare e caratterizzare il confine , chiamato eliopausa, sarebbe il bonus finale.

                                   Cosa sapere sulla missione Voyager, ora (®Nature.com)

martedì 4 dicembre 2012

VOYAGER1 AI CONFINI DEL SISTEMA SOLARE. "SCOPERTA UN'AUTOSTRADA MAGNETICA"

                              

PASADENA - Fu lanciata il 5 settembre 1977 da Cape Canaveral e da allora ha percorso oltre 18 miliardi di chilometri attraverso il sistema solare arrivandone ai confini. E' di ieri la notizia che la sonda Voyager 1 ha scoperto una nuova regione, una vera e propria "autostrada magnetica" che potrebbe rappresentare l'ultima frontiera prima del tanto atteso ingresso nello spazio interstellare. Lo comunicano gli esperti della Nasa riuniti a San Francisco per il convegno dell'American Geophysical Union (Agu). Questa autostrada, lungo cui sfrecciano le particelle cariche, nasce dalla connessione delle linee del campo magnetico solare con quelle dello spazio interstellare. Questa connessione permette l'uscita delle particelle a bassa energia che nascono nella regione piu' vicina al Sole, la cosiddetta eliosfera, e allo stesso tempo consente l'ingresso di particelle ad alta energia provenienti dall'esterno. Prima di entrare in questa regione, le particelle cariche rimbalzano in tutte le direzioni, come se fossero intrappolate in una specie di tangenziale nella eliosfera.


sabato 1 dicembre 2012

SATURNO, ECCO LA SUPER TEMPESTA: "LARGA 2,5 KM, PUÒ DURARE 10 ANNI" -FOTO


 Un vortice dalle dimensioni smisurate e dall'aria minacciosa. Sono le immagini realizzate dalla sonda Cassini della Nasa, scattate lo scorso il 27 novembre. La sonda ha immortalato una tempesta gigante sul polo nord di Saturno, con caratteristiche simili a quelle che avvengono sulla Terra, l'unica differenza è che su Saturno questi fenomeni possono durare anche dieci anni. Secondo le prima misurazioni la tempesta sarebbe vasta 2.500 chilometri e si sarebbe formata a causa di alcuni getti di corrente che attraversano il pianeta.



Leggo

lunedì 26 novembre 2012

NASA: scoperta rivoluzionaria e storia di Curiosity. Quale sarà? Il 3 dicembre annuncio ufficiale



John Grotzinger, il responsabile della ricerca scientifica effettuata su Marte dalla sonda Curiosity della NASA, l’ha definita come “una scoperta che andrà nei libri di storia” e ora c’è grande attesa per il 3 dicembre, giorno in cui, al convegno della Società geofisica americana, questa scoperta verrà annunciata al pubblico che per ora può solo fantasticare su cosa possa aver scoperto il rover marziano sul Pianeta rosso.

Dopo più di 100 giorni dal suo atterraggio su Marte dunque, Curiosity – 900 chili al decollo, 2.6 miliardi di dollari il costo, 10 strumenti scientifici a bordo – avrebbe scoperto qualcosa di sensazionale nel cratere Gale, luogo delle ricerche prescelto dagli scienziati con la sicurezza che sia il miglior spazio in cui cercare tracce di vita passata. La scoperta sembrerebbe opera del SAM (Curiosity’s Sample Analysis at Mars), che comprende uno spettrografo di massa, un cromatografo di gas e uno spettrografo laser, per trovare composti di carbonio, come il metano, le tracce di idrogeno e di ossigeno.

mercoledì 25 luglio 2012

SkyCube e i tuoi messaggi arrivano dallo spazio

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Un dollaro per dieci secondi nello spazio? Sì, è il prezzo per spedire i tuoi messaggi da centinaia di chilometri sopra le nostre teste e scattare qualche foto al pianeta Terra da lassù. Ti sembra impossibile? No, se il progetto SkyCube riesce a spiccare il volo!


"Hanno già raccolto oltre 12.000 dollari ma ne servono ancora tantissimi per finanziare la missione"

Messaggi da molto lontano - Una nuova sfida è partita su KickStarter, sito internazionale di crowdsourcing (raccolta pubblica di fondi), e stavolta il progetto vuole arrivare davvero lontano… fin nello spazio! SkyCube progetta di far decollare un nano satellite (10x10x10 cm) in grado di orbitare intorno alla Terra e di permettere, a chi finanzia l’iniziativa, di comunicare dall’alto dei cieli tramite apposite applicazioni da installare su iOS e Android, o da usare via Web. E, vista la sua invidiabile posizione, ne approfitta anche per farti scattare delle spettacolari immagini del nostro pianeta.

martedì 24 gennaio 2012

300 dollari per lanciare in orbita il proprio satellite


Bastano 300 dollari e chiunque potrà spedire in orbita il proprio satellite. Il progetto, chiamato KickSat, è stato sviluppato da un ingegnere spaziale della Cornell University, e prevede la realizzazione di particolari “nanosatelliti” che potranno essere lanciati nello spazio senza dover affrontare spese enormi.